Dal blog di Luciano Pignataro, che ci dà sempre ottimi consigli A ben pensarci, la…
Dal blog di Luciano Pignataro, che ci dà sempre ottimi consigli
A ben pensarci, la zuppa di pesce è uno di quei piatti che stanno scomparendo dai ristoranti con qualche rara eccezione, tra cui citiamo Lino Scarallo, lo chef stellato di Palazzo Petrucci a Napoli e la sua magnifica rivisitazione della zuppa di pesce cotto e crudo. Come è possibile che un piatto che ha nutrito intere generazioni di italiani in riva al mare stia scomparendo? Semplice, perchè ormai i consumatori non amano più trovare spine quando mangiano a tavola. Ed eccoci ad uno dei tanti paradossi della modernizzazione, come nel mondo della carne non si mangiano più animelle e interiora, così nel menu di mare si rinuncia al piacere più grande, ossia quello di recuperare le carni dei pesci separandoli con pazienza dalle spine.
Una metafora di due mondi che si sono confrontati anche nella finale del Brodetto Fest che si è svolta a Fano Lido e che ha visto contrapposti il caciucco livornese classico di Simone De Vanni al Ciupin ligure di Giuseppe Bizioli che avevano vinto la gara di semifinale battendo rispettivamente il Ciambotto pugliese di Rosanna Fiume e la zuppa alla civitavecchiese di Valterio Mastrogiovanni. Completavano le regioni in gara il Broeto de Pesse di David Perissinotto e il Brodetto alla Fanese di Alessandro Verni.
Li abbiamo citati tutti per dovere di cronaca, ma avete notato che ogni regione ha il suo nome per questo piatto universale? Anche in questo si evince la caratteristica gastronomica italiana, ossia la diversità, a cominciare dai pesci usati, dalle erbe e dagli odori, dall’uso o meno del peperoncino o del pepe. Tante diversità ma due temi comunica dalla Liguria alla Sicilia, dall’Adriatico al Tirreno: il fatto che questo piatto abbia origine dalla povertà perché si utilizzano ovunque pesci fuori mercato i cui nomi cambiano da costa a costa e il tema, moderno, del recupero e dunque della sostenibilità legata all’uso di tutto il pescato e alla sua stagionalità.
Di questo e di tanto altro si è parlato in questi quattro giorni fanesi, dove tra l’altro c’è una bella flotta di pescatori di vongole e una grande tradizione di mare. Ma alla fine la riflessione riguarda proprio il travaso di una ricetta dalla tradizione alla modernità, perchè è innegabile che mangiare un piatto senza doversi preoccupare delle spine oggi è uno standard sotto il quale possono andare solo alcuni nostalgici generazionali dei tempi andati, quando non si andava per il sottile e la spina veniva buttata giù con il pane immerso nel brodo o nel sugo (a seconda dell’uso regionale di fare un piatto più brodoso o più salsoso. Un cosa è certa, tracine, scorfani, pesce prete, murene, sono ancora oggi pesci alla portata di tutti e danno un sapore incredibile al piatto e una vera cultura gastronomica dovrebbe andare in questa direzioni invece che nei consumi dei soliti filetti di dentice, orata e spigola.
Due gli elementi caratterizzanti della kermesse fanese: la sapienza dei pescatori e i grandi ospiti del mondo del food, che hanno creato un mix vincente tra tradizione e rinnovamento della cucina di mare rendendo Brodetto Fest uno degli appuntamenti gastronomici più importanti e noti del panorama italiano centrato su un piatto nato a bordo dei pescherecci come “povero”. Per realizzarlo, i pescatori utilizzavano i pesci non idonei alla vendita per dimensioni o perché rovinati dalle reti. Senza essere sfilettati venivano cucinati in un tegame con olio, cipolla, concentrato di pomodoro e aceto. Il tutto veniva accompagnato con il pane raffermo. Una ricetta semplice e versatile e presente in tutte le coste italiane.
Spetta ai cuochi veri, quelli che fanno della biodiversità un titolo di merito distintivo, recuperare questa tradizione, sia pure con accorgimenti che rendano “leggibile” questa meraviglia gastronomica alle nuove generazioni e ai turisti cheaffollano le nostre coste.
Fonte : PositanoNews.it