
Già da giorni ormai va avanti la guerra in Ucraina ed anche se non ci…
Già da giorni ormai va avanti la guerra in Ucraina ed anche se non ci tocca direttamente, subiamo, qui in Italia, ripercussioni indirette. Nella vita di tutti giorni si notano cambiamenti sul piano economico, sia per quanto riguarda aumenti della benzina, ma non solo. Il Mattino ci parla infatti della forte dipendenza dell’Italia dall’estero per soddisfare la domanda in merito alle materie prime agricole.
«A oggi la disponibilità di materie prime agricole per la produzione mangimistica, in primis il mais, è limitata nella maggior parte dei casi a una ventina di giorni, al massimo a un mese. Se non si attivano subito canali di approvvigionamento alternativo e non si adottano misure urgenti, sarà inevitabile il blocco della produzione di mangimi con conseguenze devastanti per gli allevamenti». A lanciare l’allarme, in qualità di presidente dell’Assalzoo, l’associazione nazionale dei produttori di alimenti zootecnici, è Michele Liverini, vicepresidente della Liverini Spa, società di Telese Terme guidata dal fratello Filippo, ex presidente di Confindustria Benevento. «Ritengo che, alla luce delle giacenze di mais nei nostri porti, abbiamo un’autonomia di cinque, sei settimane. Il mais fino a pochi giorni fa arrivava, oltre che dall’Ucraina, anche dall’Ungheria, dalla Bulgaria e dalla Serbia. Ma questi Paesi, a seguito della crisi aperta dal conflitto, hanno fermato le esportazioni. Noi dipendiamo dai mercati stranieri, non abbiamo mais per andare avanti».
«Stiamo guardando agli Stati Uniti e al Sud America, in particolare all’Argentina, per importare il mais ma ciò vuol dire dover attendere almeno sette, otto settimane perché le navi cargo non sono navi da crociera. Si impiega tanto tempo per le operazioni di carico e scarico e il viaggio. E poi alle problematiche di carattere logistico si aggiungono quelle qualitative ma al momento questa appare l’unica fonte attraverso la quale tentare di colmare il grave deficit a fronte del fabbisogno nazionale».
Il conflitto in Ucraina ha messo a nudo la forte dipendenza dell’Italia dall’estero per soddisfare la domanda di materie prime agricole. Perché non siamo autosufficienti?
«Negli ultimi decenni non è stata fatta una politica agricola tale da consentire l’autosufficienza. La situazione si è aggravata nel corso degli anni con il costante calo della produzione nazionale di mais, crollata dall’autosufficienza di una quindicina di anni fa a uno scarso 50% attuale. Oggi dipendiamo per il sessanta per cento dall’estero. L’Italia importa dalla Russia e dall’Ucraina anche farina di girasole e polpa di barbabietola di zucchero».
Cosa rischiano gli allevatori?
«Noi mangimisti produciamo alimenti per gli animali che si allevano in Italia. Ma se questi capi non riusciranno a mangiare moriranno per denutrizione. Gli allevatori dovranno macellare quei capi che non arrivano al peso adeguato e così nei supermercati e nelle macellerie si rischierà di non trovare carne di pollo, di tacchino e suina. Se non c’è mais il problema non riguarderà solo il pane e le pizze ma anche la carne, il latte, i formaggi, il burro, le uova. E questo rischia di pesare molto sulla dieta alimentare. Noi produciamo mangimi per dare alimenti salubri agli animali e a basso costo per i cittadini».
Quali misure chiedete al Governo?
«Abbiamo un incontro a Roma con il ministro delle Politiche agricole. Chiederemo delle misure urgenti. In primis la possibilità di importare mais da Stati Uniti e Sud America. Poi una deroga per poter importare e utilizzare il mais geneticamente modificato, che in Italia è vietato, e di mettere in atto un piano immediato di incentivi per favorire la coltivazione di ulteriori superfici a mais, le cui semine prenderanno il via tra pochi giorni. Per l’alimentazione animale occorrono circa 9 milioni di tonnellate di mais a fronte di una produzione italiana di 6 milioni. È necessario coltivare in Italia almeno 300mila ettari in più per soddisfare la domanda della zootecnia nazionale. Chiederemo anche di sospendere l’uso del mais per produrre il biogas. In questo momento sembra assurdo destinare una derrata alimentare così importante per gli allevatori a un simile utilizzo».
Nella sua azienda c’è il rischio cig?
«No, non stiamo in questa situazione ma di certo si lavorerà di meno. Noi utilizziamo anche orzo, farina di girasole, polpa di barbabietola di zucchero e scarti dell’alimentazione umana. Ma il mais è importante. Ora si rischia di tornare indietro di tanti anni. Oggi, grazie ai mangimi, alla cura degli allevatori e ai controlli delle Asl, le carni sono più salubri rispetto a venti anni fa».
Fonte : PositanoNews.it