
Un tempo c’erano le trattorie familiari, con la mamma ai fornelli e il figlio in sala, locali autentici che raccontavano storie vere, fatte di sapori e tradizioni. Oggi, quei luoghi appartengono sempre più al passato. La ristorazione italiana sta vivendo una trasformazione profonda: da vocazione a business, da passione a investimento.
Secondo i dati Fipe, il settore della ristorazione in Italia vale oltre 59 miliardi di euro, conta più di 300mila imprese e dà lavoro a 1,2 milioni di persone. Ma il modello romantico del “ristoratore di una volta” è in crisi. Al suo posto, imprenditori, fondi di private equity e capitali stranieri stanno riscrivendo le regole del gioco, portando efficienza, branding e piani di sviluppo internazionale.
Milano è il laboratorio di questa rivoluzione. È qui che società come Triple Sea Food – fondata da Leonardo Maria Del Vecchio – hanno trasformato quartieri come Brera in poli gastronomici gestiti con logiche da holding, più che da cucina di quartiere. Altri casi simili: Carnissage, Sea Signora, il gruppo francese Big Mamma, fino a nomi consolidati come Langosteria, oggi sostenuta da capitali di Moncler.
Il risultato? Una ristorazione più solida economicamente, capace di espandersi e creare occupazione, ma anche più omologata. Le “trattorie” che aprono oggi spesso simulano la tradizione più che rappresentarla, con scenografie curate e storytelling calibrati, ma poca autenticità.
Il cliente? Nella maggior parte dei casi apprezza: locali pieni, piatti fotogenici e ambienti curati. Ma qualcosa si perde. L’Italia che cucinava con il cuore oggi progetta ristoranti con Excel. E anche se il cibo resta buono, forse è cambiato per sempre il modo in cui lo serviamo.
Fonte : PositanoNews.it